TinyDropdown Menu Born to be Wilde: ottobre 2013

venerdì 11 ottobre 2013

Distorsioni di Giorgio Tonelli

Don Tonelli, dopo la sua splendida dichiarazione d’intenti un po’ joyciana, ha deciso di regalarci una preview della sua raccolta di racconti: Distorsioni è uno di questi e devo ammettere che tra quelli letti, è il mio preferito. Se vi interessa dargli un’occhiata lo potete trovare qui in pdf; lo scaricate in tre secondi. Vi consiglio caldamente la lettura di Distorsioni se avete intenzione di leggerne la recensione giacchè non spoilero un bel nulla, fannulloni!

"Superata una piccola spiaggia inizia la salita, sempre più in alto, fino alla cima della scogliera. Lassù il sentiero di sassi lascia spazio a una piccola radura verde. Ci sono delle panche di pietra grezza, senza gambe, adagiate sull’erba. Ci sediamo, con l’alito del mare addosso e le stelle per luci. Siamo sul tetto di Bilbao." Paolo


Bravò! E’ quello che penso mentre finisco di leggere uno dei racconti di Tonelli. Un sacco di gente dice “Eh scrivo” col sorriso sornione di chi si aspetta che tu dica “Quando mi fai leggere qualcosa?”. Okay, io sono una di quelle curiosone che va chiedendo in giro ad aspiranti talenti di leggere le loro opere prima, però devo ammettere che mi son sempre capitate cagate pazzesche. Non che il racconto di Giorgio Tonelli sia paragonabile alle perle di Buzzati, no, però è una di quelle letture che riescono (per quanto brevi) a catapultarti in un’altra dimensione per un po’. Quindi, come il protagonista, anche noi siamo a Bilbao, anche noi siamo ad una festa erasmus, anche noi siamo sdraiati sugli scogli con un/a sconosciuto/a,  anche noi in terra straniera assediati da una lingua straniera e in balia degli eventi:  fantastico! Questo è uno degli aspetti positivi della narrazione di Tonelli: in tre parole e quattro aggettivi ti dipinge il contesto, ti costruisce un’atmosfera. Touchè, io non ne sono capace.  Le vicende sono situate su due livelli spazio-temporali differenti che si intersecano e qui si passa alle note dolenti: ho dovuto rileggere alcuni passaggi per capire dove ci trovassimo e soprattutto il perché di determinati dialoghi. E’ un gran bello strumento quando lo si sa usare.. Probabilmente è un effetto voluto dall’autore perché quando si arriva a leggere il finale diventa tutto più chiaro ma sembra che ci sia necessità di affinare ancora un po’ la tecnica, forse.
La trama è originale: un giovincello si ritrova nel Paesi Baschi e conosce una strana India che, complici un paio di bicchieri di tinto de verano , lo convince ad andare sugli scogli. Le opzioni che vengono in mente ai più sono o un bell’amplesso al chiaro di luna dove l’importante non è capirsi ma tarellare (vecchi sporcaccioni, vi ho beccato) oppure lei che gli tira una mazzata in testa, lo deruba e scappa (io optavo per questa.. sarà che vedo troppe puntate di Hannibal). E invece, mi dispiace deludervi, ma lei gli racconta una storia e poi si abbioccano. Il risveglio dovete leggervelo da soli. Personalmente amo le fiabe quindi la storia che l’india racconta al protagonista per me è una vera e propria chicca. Unica cosa gli intermezzi del post-avventura rimangono un pochino fumosi soprattutto nella parte iniziale.
Detto ciò, per quanto io possa essere amica dell’autore, non avrei mai recensito un racconto che non potesse definirsi tale. Le caratteristiche del racconto ci sono tutte. Lo stile denota un bel background culturale e un’esperienza delle più disparate letture:  i retaggi maggiori sono quelli del realismo sporco bukowskiano anche se per me è palese che Tonelli stia cercando di definire uno stile tutto suo e che non cada nella banalità del plagio.La proprietà di linguaggio è molto buona e secondo me c’è del talento.

Mi sento di dare un 6+. Forza e coraggio!

Bilbao at night


giovedì 10 ottobre 2013

#7 Le Boudoir: intervista a Giorgio Tonelli, aspirante scrittore, Parte Prima

Intervista a Giorgio Tonelli, aspirante scrittore, 25 anni


Giorgio Tonelli, nato a Latisana, in provincia di Udine (suo malgrado), il 17 novembre 1988, si laurea in Scienze della Comunicazione a Padova. Lavora a Milano per un anno e mezzo come pr, copywriter e gestore dei social, salvo poi riapprodare al mondo universitario con una specialistica in Comunicazione Pubblica e d’Impresa. Il suo obiettivo in questo momento è quello di scrivere una raccolta di racconti e il suo stile ricorda molto il realismo sporco che ultimamente sembra, tra l'altro, essere tornato alla ribalta.

Lettori selvaggi, so che di solito un’intervista contempla tutta una serie di domande e tutta una serie di risposte in uno scambio di battute tra due individui. Però, però, però, di rado mi è capitato di fare un’intervista vis à vis a un mio conoscente. L’intervista per essere tale e rigorosa, solitamente non avviene tra due amici che si bevono un caffè e inventarmi domande su cui plasmare le risposte date nel corso di una conversazione mi sembrerebbe abbastanza macchinoso e innaturale. E’ per questo che, all’insaputa dello stesso intervistato, ho deciso di pubblicare qui sul blog un suo flusso di pensieri a proposito dei suoi obiettivi di aspirante scrittore: come ci siamo detti a voce, ecco la sua dichiarazione poetica. Ciò che l’intervistato mi ha inviato in formato Word prima del nostro incontro rispecchia in tutto la conversazione face to face e spero sia per voi interessante quanto lo è stata per me.

Allora: ho iniziato a scrivere al liceo, senza un motivo particolare. Probabilmente perché mi piaceva leggere ed ero affascinato dal mondo della letteratura, quindi mi andava di provare. All’inizio leggevo i classici: Pirandello (lo scrittore che in quel periodo mi ha colpito di più), Wilde, Hesse, Orwell, ecc. Scrivevo quindi con uno stile classico e retorico, per così dire, ed ero dell’idea che ogni scritto dovesse contenere un messaggio, un significato. Finito il liceo ho praticamente smesso di scrivere, se non sporadici pensieri o avvenimenti. Non sapevo cosa scrivere né come scriverlo, quindi né stile né contenuto. Le cose sono cambiate a partire da mie riflessioni sulla scrittura e da due libri che mi hanno regalato: High Fidelity di Hornby e La Versione di Barney di Richler. Questi romanzi mi hanno insegnato che esiste un modo di scrivere più informale e leggero, che può comunque essere coniugato anche ad avvenimenti spiacevoli, dolorosi e via dicendo. La mia riflessione mi ha invece portato a pensare che, quando si era al liceo, si pensava a chi scrive come a una persona dotata di una superiore intelligenza, sensibilità, ecc. Pensa a Baudelaire: il sacerdote del tempio. Quindi: c’è Baudelaire, sull’altare, che spiega a noi, stronzi profani, il significato delle cose. Altra metafora: la visione ottocentesca dello scrittore nella torre d’avorio che osserva, giudica, spiega. Ora, come puoi notare, l’intellettuale scrittore è in alto, mentre il resto della gente è in basso. Lui vede, noi no; lui sa, noi no; lui spiega, noi ascoltiamo. L’idea è che lui abbia il potere, e il compito, di togliere il velo dalle cose, svelandoci un significato profondo, ultimo, assoluto. Bene: stronzata! Secondo me non c’è nessun significato ultimo, né tantomeno mi sento di poter spiegare o peggio insegnare qualcosa a qualcuno. La letteratura è fatta di storie, e le storie sono storie, nulla più. Lo scrittore, oggi, è lo sbronzo che trovi al bar e ti racconta: Bukowski. Scoprendo e divorando Buk questa primavera mi è tornata la voglia di scrivere. È uno sfogo di creatività, è un lasciare libera la mente, è un’avventura. Io leggo perché mi piacciono le storie, mi piace quel processo di costruzione mentale del contesto di una storia, mi piace quando ho un libro sul comodino, lo apro e lascio libera la fantasia. Scrivo per fare la stessa cosa in prima persona, con lo scopo di lasciare spazi l lettore perché vi si infili, ci metta del suo. Credo che lo scopo sia quello di divertire, nel senso etimologico di “portare altrove”, straviare (sì è dialettale ma rende bene). Parto dal realismo sporco per edulcorarlo un po’ e metterci in mezzo particolari magici o surreali. Diciamo che al momento il mio stile è in evoluzione, ma comunque sto raccogliendo delle storie che vorrei pubblicare in una raccolta che vorrei intitolare Storie della Paroxetina. Parto da esperienze reali della vita di tutti i giorni e ci ricamo sopra, ispirato anche da certi film (più che altro per le scelte di montaggio che vorrei riportare allo scritto: tipo i pezzi invertiti alla Pulp Fiction). Diciamo che per il momento sto sperimentando e tutto quello che mi viene in mente cerco di buttarlo dentro.”


Ho strutturato l’intervista in due parti perché ho una chicca da proporvi: su gentile concessione di Giorgio, abbiamo una succosa anteprima che consiste in uno dei racconti che andranno a far parte della raccolta con relativa recensione della sottoscritta. Dopo una dichiarazione d’intenti così, il minimo che potete fare, è dare una sbirciata :)

mercoledì 9 ottobre 2013

Piccole recensioni per piccoli risparmiatori n°7: Le notti bianche di Fedor Dostoevskij


“Era una notte incantevole, una di quelle notti che succedono solo se si è giovani (..)”
“E ti chiedi: dove sono mai i tuoi sogni? E scuoti la testa, dici: come volano in fretta gli anni! E di nuovo ti chiedi: cosa hai fatto dei tuoi anni? Dove hai sepolto il tuo tempo migliore? Hai vissuto o no?”


Rieccoci con i grandi classici: come ribadisco per l’ennesima volta, non sono un’amante dei russi anzi, a parte Gogol e Bulgakov, più li leggo e più capisco che l’introspezione non fa per me. Cerco comunque di non partire mai prevenuta e quindi ho deciso di leggere Le notti bianche di Dostoevskij, complice la trama un po’ adolescenziale che prometteva di trattare tematiche più leggere. Ma quando mai.
Questo libricino, scritto da un giovane ventisettenne di nome Fedor Dostoevskij, racchiude tutte le componenti che faranno di lui uno scrittore immortale e in particolare si concentra sulla figura del sognatore schilleriano: Le notti bianche narra le vincende di un giovane romantico che vive di sensazioni e perso nelle sue fantasticherie diurne. Non ha amici, gli piacerebbe averne ma non osa giacchè ogni contatto sarebbe comunque un approccio alla realtà che non crede di volere. Una notte però, incontra una dolce diciassettenne il cui nome è Nast’enka con la quale nascerà una tenera amicizia cha da parte del giovane si trasformerà inevitabilmente in amore. Le vicende dei due ragazzi si distribuiscono su un arco temporale di 4 notti e i due arriveranno a un tale livello di confidenza e amicizia che questo implicherà il raccontarsi reciprocamente le proprie vite.  Ma perché le notti? E perché bianche? No, non si tratta della commercialata milanese che prevede iniziative di dubbio gusto culturale e negozi aperti fino all’1 di notte. Si tratta di un evento ben più romantico e spettacolare: una vera e propria chicca che vi do. Quest’opera prende il nome dal periodo dell’anno noto per l’appunto col nome di notti bianche, in cui nella Russia del nord, inclusa la zona di San Pietroburgo, il sole tramonta dopo le 22 (Santa Wikipedia). Quindi svolgendosi tutto alla luce del sole, non è strano che due giovani si trovino a parlare su una panchina anche a inizio Novecento.
Detto ciò, la trama è talmente sottile e appesa a un filo che il raccontarvi altro implicherebbe sicuramente un bello spoiler (per i quali in passato mi avete già bacchettata). I più svegli di voi e soprattutto quelli più avvezzi alla lettura dei romanzi russi avranno già capito che  per il sognatore schilleriano non può esserci lieto fine: come potrebbe esserci se il protagonista da sempre vive negando la realtà e rifugiandosi nel sogno?  Interessanti sono alcuni riflessioni che ho trovato sul web, cercando di capirne di più a questo proposito: il mondo del fantastico e dell’illusorio in questo caso vengono visti come il Male, giacchè impedisce al giovane di fruire degli aspetti reali della vita. Il che è un peccato perché come sappiamo spesso  la vita reale superano in bellezza la nostra immaginazione.
Vi lascio quindi con uno dei pensieri con cui il protagonista chiude il romanzo: “.. un intero attimo di beatitudine! Ed è forse poco seppure nell’intera vita di un uomo? (..)”

Voto  6+




lunedì 7 ottobre 2013

Soffocare di Chuck Palahniuk


“Chi dimentica il passato è condannato a riviverlo” la Mamma

“L’irreale è più potente del reale. Perché la realtà non arriva mai al grado di perfezione cui può spingersi l’immaginazione. Perché soltanto ciò che è intangibile, le idee, i concetti, le convinzioni, le fantasie, dura. Le pietre si sgretolano. Il legno marcisce. La gente, bè… la gente muore. Ma le cose fragili, come un pensiero, un sogno, una leggenda, durano in eterno.” Victor Mancini


Amici, era da un po’ che non scrivevo una delle mie recensioni. Diciamo che è stato un periodo impegnativo e diciamo anche che non sto trovando letture stimolanti. Ho ancora da finire di leggere ZeroZeroZero di Saviano, Lui è tornato di Timur Vermes e tutta una serie di Live della Newton Compton ma, complice il periodo, mi risultano ostici. Vabbè, son convinta che “ogni libro a suo tempo”. Mi è capitato spesso di rimandare la lettura di diversi tomi salvo poi divorarli dopo qualche mese.
Ma veniamo a noi. Nel mare di letture che volevo fare, c’era sicuramente qualcosa di Chuck Palahniuk. Ho scaricato sul mio ebook alcuni dei titoli più famosi per farmi un’idea su quest’autore e in verità, vi dico che un romanzo solo non basta ad esprimere un giudizio completo, ovviamente..ma mi sto attrezzando. Su consiglio di un amico leggerò sicuramente Gang bang.
Soffocare: già dal titolo questo romanzo  è tutto un programma. Uno, non leggendo né trama né niente, si immagina la storia di un serial killer che soffoca le sue vittime armato di sacchetti di plastica. Ebbene, no, non parla di questo. Soffocare parla delle vicende di Victor Mancini, un sesso dipendente di 23 anni che lavora come comparsa nella simulazione di un villaggio del 1700; Purtroppo Victor deve occuparsi anche della ex hippie-madre morente. Rinchiusa in un istituto mentale da 3000 dollari al mese, il ragazzo deve escogitare un modo per far soldi e ne trova uno davvero inusuale:  va in un ristorante e, fingendo di soffocare, si fa salvare ogni volta da una persona diversa. Una volta creato il legame di salvatore-salvato, le persone in questione, sentendosi responsabili per lui, gli inviano del denaro che lui prontamente utilizza per mantenere sé stesso e sua madre.
No, il protagonista non è un santo..ma nemmeno uno stronzo. Quando vaga per l’istituto mentale allevia le pene dei degenti assumendosi tutte le colpe che questi, nel loro delirio senile, tendono ad attribuirgli scambiandolo per il fratello pervertito o per il vicino sporcaccione. Il problema è che Palahniuk vuole che il lettore venga disgustato dalle vicende del giovane. Scene di sesso private di qualsiasi sentimento o passione,  scene di vita vagabonda con una madre hippie fatta come una mina di non si sa bene quale droga, insulti gratuiti al giovane protagonista. Non so, non ho trovato così geniale questo romanzo. E’ sicuramente qualcosa di nuovo, una boccata di aria fresca dall’ansia che mi pervade ogni volta che entro in Mondadori per colpa di tutta quella merda young adult (passatemi il francesismo) ma non è nulla che non abbia già letto. Insomma, letto Bukowski, merda, sesso e altre vicende tipicamente umane e descritte con un linguaggio moderno e senza peli sulla lingua, non mi scandalizzano più.
Apprezzabile comunque il finale a sorpresa e questa sospensione tra realtà, ricordi e grottesco che, da quel che mi dicono, sia una caratteristica dominante nei romanzi di Palahniuk. Credo proprio che leggerò un altro paio di opere di questo autore. Mi ha incuriosito abbastanza!

 Il mio voto è 6 e 1/2