TinyDropdown Menu Born to be Wilde: Nelle terre estreme di Jon Krakauer

giovedì 20 giugno 2013

Nelle terre estreme di Jon Krakauer

“In America abbiamo la tradizione del “grande fiume a due cuori”: portare le proprie ferite nella natura per una cura, una conversione, un riposo o quel che sia. E comee nel caso di Hemingway, se le ferite non sono troppo gravi, funziona. Ma qui non siamo nel Michigan (o per quanto, neppure nelle grandi foreste del Mississippi di Faulkner). Qui siamo in Alaska.” Edward Hoagland, Up the black to Chalkytisik

“La felicità è reale, solo se condivisa” Tolstoj
“Happines is real, only when shared”  Tolstoj


Ok, lo so, sto diventando troppo sentimentale ma ci sono libri che giuro, non possono proprio mancare a ogni letterato che si rispetti e Nelle terre estreme di Job Krakauer è uno di questi. Questo libro è una sorta di inchiesta poco romanzata e molto curata del lungo viaggio che Christopher McCandless compì negli anni ’90, in seguito alla propria laurea, per staccarsi dalla sua famiglia e da una società che lui considerava eccessivamente consumista e soprattutto ipocrita. Ispirato da Thoreau, London e Tolstoj, Christopher decide di lasciare la civiltà per immergersi completamente nella natura con scarso equipaggiamento e scegliendo una meta quanto mai ardita: l’Alaska. Qui, dopo circa quattro mesi dall’inizio di questa sorta di viaggio della speranza, McCandless verrà ritrovato morto da un cacciatore. Krakauer grazie l’aiuto dei familiari, degli amici e dei conoscenti ma soprattutto grazie al diario che McCandless teneva di questa esperienza, cerca di ricostruire tutti i passaggi di un viaggio lungo due anni attraverso l’America inseguendo un’utopia che da sempre ha affascinato tutti i grandi letterati dai tempi di Rousseau: il ritorno alle origini, alla natura. Pagina dopo pagina, Krakauer ci racconta come McCandless sia solo l’ultimo di una valanga di avventurieri desiderosi di vivere a contatto con la natura, col proprio Io: ragazzi che mollano tutto e partono per scalare un monte, ragazzi che finiscono in un’oasi tra le gole rocciose del deserto americano.. in molti casi, ognuno con il proprio grado di squilibrio mentale.
L’autore, giornalista, ha ricevuto moltissime lettere di critica al comportamento di Christopher:  era un’idiota, non sapeva cosa stesse facendo, era troppo impreparato, era un megalomane e via dicendo. Semplicemente, secondo me, era un’idealista.  Ricordo che tra i numerosi avventurieri ce n’era uno che mi è rimasto particolarmente impresso: questi era uno studioso di antropologia e aveva deciso di sperimentare su di sé per decine d’anni se per l’uomo fosse possibile riadattarsi ad uno stile di vita primitivo. La risposta che ne aveva avuto, dopo aver sacrificato la sua vita a questo esperimento è stata NO. L’uomo non è più in grado di sopravvivere in queste condizioni, solo che McCandless non aveva avuto ancora il piacere di leggerlo su un libro. Dopo aver partecipato a tutte le speranze, i sogni, le vicende di Chris, dopo aver partecipato all’entusiasmo della partenza o alle difficoltà del tragitto, ecco che arriva uno studioso di antropologia che ci dice “No ragazzi, non è possibile, dietrofront e tu, Chris, torna a casa e trovati un lavoro”. Sarebbe stato forse deludente, ma molto più semplice e io non avrei pianto come una fontana al finale del film Into the wild.
Mi è piaciuto il fatto che la vicenda non sia stata romanzata ma sia stata trascritta così come è nata: sottoforma di inchiesta, con le testimonianze delle persone che Chris ha conosciuto lungo il suo cammino, i pensieri dei parenti e via dicendo. Lo stile è davvero ottimo, non è morboso, da rivista scandalistica o da Pomeriggio 5 e questo, a prescindere dalla drammaticità della vicenda, è piuttosto apprezzabile. La lettura non è per nulla appesantita dalle vicende dei predecessori utopisti di Chris, anzi, semmai ne è arricchita.
Un altro aspetto che mi ha fatto davvero commuovere e che vuole far riflettere è l’ephipany in cui incappa  McCandless: “happiness is real only when shared”. Da quello che ci dicono di lui amici, conoscenti e parenti, Chris non era un misantropo. Amava stare in compagnia, con gli amici, conoscere persone nuove… l’unico problema era che affrontava la vita ad un livello differente, come se nessuno a parte forse sua sorella, riuscisse a capirlo fino in fondo. Dunque partendo dal presupposto che chiunque gli sia vicino, non lo comprende, Chris parte e si lascia tutti alle spalle. All’inizio, si viene sopraffatti dalla Bellezza, in senso filosofico e in senso fisico: cieli e orizzonti sconfinati, crepuscoli ed albe magnifiche come solo la Natura selvaggia può regalare, la soddisfazione di un fuoco che riscalda o la felicità di procacciarsi il cibo.  Per un po’, tutto ciò può bastare. Dopo un paio di anni di viaggio in lungo e in largo per il continente americano però Chris arriva a questa conclusione: la felicità è reale solo quand’è condivisa. Cosa vuol dire? Vuol dire che nella vita di un uomo gli attimi di vera felicità sono pochi e preziosi.  E uno di quegli istanti viene raddoppiato quando si ha la possibilità di condividerlo con un’altra persona. E’ come una fotografia stampata su due pellicole e potrà essere ricondiviso ogni volta che si vorrà perché quando gli occhi si incontreranno, quando il reciproco pensiero si sposterà su quel ricordo, entrambi respireranno lo stesso frammento di felicità.

Voto: 9









1 commento:

  1. il film è ben fatto, ma, ovviamente, perde molto delle sensazioni e delle emozioni del libro. un libro che inizia come un articolo giornalistico, ma poi diventa un meraviglioso omaggio alla vita di questo ragazzo che ha pagato con la vita la propria inesperienza, ma che ha vissuto l'avventura fino in fondo...tante lacrime su quel volume, ben spese

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