Intervista a Giorgio Tonelli, aspirante scrittore, 25 anni
Giorgio Tonelli, nato
a Latisana, in provincia di Udine (suo malgrado), il 17 novembre 1988, si
laurea in Scienze della Comunicazione a Padova. Lavora a Milano per un anno e
mezzo come pr, copywriter e gestore dei social, salvo poi riapprodare al mondo
universitario con una specialistica in Comunicazione Pubblica e d’Impresa. Il
suo obiettivo in questo momento è quello di scrivere una raccolta di racconti e
il suo stile ricorda molto il realismo sporco che ultimamente sembra, tra l'altro, essere tornato alla ribalta.
Lettori selvaggi, so che di solito un’intervista contempla
tutta una serie di domande e tutta una serie di risposte in uno scambio di
battute tra due individui. Però, però, però, di rado mi è capitato di fare
un’intervista vis à vis a un mio
conoscente. L’intervista per essere tale e rigorosa, solitamente non avviene
tra due amici che si bevono un caffè e inventarmi domande su cui plasmare le
risposte date nel corso di una conversazione mi sembrerebbe abbastanza
macchinoso e innaturale. E’ per questo che, all’insaputa dello stesso
intervistato, ho deciso di pubblicare qui sul blog un suo flusso di pensieri a
proposito dei suoi obiettivi di aspirante scrittore: come ci siamo detti a
voce, ecco la sua dichiarazione poetica. Ciò che l’intervistato mi ha inviato
in formato Word prima del nostro incontro rispecchia in tutto la conversazione face to face e spero sia per voi
interessante quanto lo è stata per me.
“Allora:
ho iniziato a scrivere al liceo, senza un motivo
particolare. Probabilmente perché mi piaceva leggere ed ero affascinato dal
mondo della letteratura, quindi mi andava di provare. All’inizio leggevo i
classici: Pirandello (lo scrittore che in quel periodo mi ha colpito di più),
Wilde, Hesse, Orwell, ecc. Scrivevo quindi con uno stile classico e retorico,
per così dire, ed ero dell’idea che ogni scritto dovesse contenere un
messaggio, un significato. Finito il liceo ho praticamente smesso di scrivere,
se non sporadici pensieri o avvenimenti. Non sapevo cosa scrivere né come
scriverlo, quindi né stile né contenuto. Le cose sono cambiate a partire da mie
riflessioni sulla scrittura e da due libri che mi hanno regalato: High Fidelity di
Hornby e La Versione di Barney di Richler. Questi romanzi mi hanno insegnato
che esiste un modo di scrivere più informale e leggero, che può comunque essere
coniugato anche ad avvenimenti spiacevoli, dolorosi e via dicendo. La mia
riflessione mi ha invece portato a pensare che, quando si era al liceo, si
pensava a chi scrive come a una persona dotata di una superiore intelligenza,
sensibilità, ecc. Pensa a Baudelaire: il sacerdote del tempio. Quindi: c’è
Baudelaire, sull’altare, che spiega a noi, stronzi profani, il significato
delle cose. Altra metafora: la visione ottocentesca dello scrittore nella torre
d’avorio che osserva, giudica, spiega. Ora, come puoi notare, l’intellettuale
scrittore è in alto, mentre il resto della gente è in basso. Lui vede, noi no;
lui sa, noi no; lui spiega, noi ascoltiamo. L’idea è che lui abbia il potere, e
il compito, di togliere il velo dalle cose, svelandoci un significato profondo,
ultimo, assoluto. Bene: stronzata! Secondo me non c’è nessun significato
ultimo, né tantomeno mi sento di poter spiegare o peggio insegnare qualcosa a
qualcuno. La letteratura è fatta di storie, e le storie sono storie, nulla più.
Lo scrittore, oggi, è lo sbronzo che trovi al bar e ti racconta: Bukowski.
Scoprendo e divorando Buk questa primavera mi è tornata la voglia di scrivere.
È uno sfogo di creatività, è un lasciare libera la mente, è un’avventura. Io
leggo perché mi piacciono le storie, mi piace quel processo di costruzione
mentale del contesto di una storia, mi piace quando ho un libro sul comodino,
lo apro e lascio libera la fantasia. Scrivo per fare la stessa cosa in prima
persona, con lo scopo di lasciare spazi l lettore perché vi si infili, ci metta
del suo. Credo che lo scopo sia quello di divertire, nel senso etimologico di
“portare altrove”, straviare (sì è dialettale ma rende bene). Parto dal
realismo sporco per edulcorarlo un po’ e metterci in mezzo particolari magici o
surreali. Diciamo che al momento il mio stile è in evoluzione, ma comunque sto
raccogliendo delle storie che vorrei pubblicare in una raccolta che vorrei
intitolare Storie della Paroxetina. Parto da esperienze reali della vita di
tutti i giorni e ci ricamo sopra, ispirato anche da certi film (più che altro
per le scelte di montaggio che vorrei riportare allo scritto: tipo i pezzi
invertiti alla Pulp Fiction). Diciamo che per il momento sto sperimentando e
tutto quello che mi viene in mente cerco di buttarlo dentro.”
Ho
strutturato l’intervista in due parti perché ho una chicca da proporvi: su
gentile concessione di Giorgio, abbiamo
una succosa anteprima che consiste in uno dei racconti che andranno a far parte
della raccolta con relativa recensione della sottoscritta. Dopo una
dichiarazione d’intenti così, il minimo che potete fare, è dare una sbirciata :)
Beh, sicuramente il suo background mi interessa perché molto simile al mio... ora sono proprio curioso di vedere il suo racconto! :)
RispondiEliminaMoz-
Presto, presto! :) sono proprio curiosa di sentire che ne pensi!
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